Paolo Marabini racconta il suo primo viaggio in Marocco, per festeggiare i suoi 50 anni.
“Non avevo mai scritto degli appunti di viaggio. E sì che ne ho visto di mondo, ne ho toccati di aeroporti, me ne sono sciroppati di chilometri, in tutti i 5 continenti: a piedi come in auto, talvolta anche in treno e pure in nave. Non ne avevo mai sentito il bisogno. Anzi, l’ispirazione. O, più semplicemente, non era il momento. Ma c’è sempre una prima volta. E forse era destino che dovesse essere questa, che era una primizia anche per altri motivi. Da quando conosco mia moglie Silvia, cioè dal 1986, non avevo mai fatto un viaggio di vacanza senza di lei, stavolta impossibilitata ad accompagnarmi in Marocco per motivi di lavoro. E poi, non avevo mai avuto l’occasione di un viaggio solo con Emanuela, la mia sorella maggiore, che per anni è stata per me una sorta di estranea. L’ultima vacanza insieme – con anche mamma, papà e l’altra mia sorella, Silvia – risaliva al 1978, quando andammo in campeggio a Marina di Camerota. Da allora le nostre estati hanno sempre preso strade diverse, fino al safari di due anni fa in Tanzania – lei, mia moglie, io e la guida Bahati – che però non era la stessa cosa. E poi non avevo mai vissuto un viaggio così calato nella realtà di un Paese, così a contatto con la sua gente, così vicino alle case, alla vita quotidiana, per quanto dodici giorni non bastino certo a farti entrare in sintonia totale con il Paese che stai visitando. Ma pranzare con una famiglia locale, in un’abitazione tipica, addentrarsi in un polveroso villaggio alle porte del deserto o nel caotico souk di una cittadina di montagna, entrare in un buio ksar sotterraneo così lontano dall’immaginario, toccare con mano l’habitat di migliaia di persone, oppure conversare con una donna berbera, sì evoluta, istruita ed emancipata, ma sempre governata da usanze e tradizioni ataviche a noi poco comprensibili: ecco, non mi era mai capitato, e l’ho trovato affascinante.
L’idea del viaggio in Marocco è nata un po’ di tempo addietro, volendo già tre-quattro anni fa, dai primi inviti insistenti di Emanuela, che del Marocco è pressoché una cittadina onoraria. Ho però sempre avuto altri programmi, fino a che i tempi sono maturati e, con sei mesi d’anticipo sulla data di partenza, il tour ha preso corpo. Ovviamente organizzato da lei. E da me approvato alla cieca, sulla fiducia. E anche qui c’è una novità: da quando ho cominciato a viaggiare, ho sempre studiato personalmente nei dettagli il percorso, le tappe, le attrazioni meritevoli di una sosta, scelto attentamente gli alberghi. Stavolta non ho messo becco in nulla: di fronte a un’esperta conoscitrice del Marocco come Emanuela, che approdò per la prima volta da quelle parti quasi vent’anni fa, ogni mia indicazione sarebbe stata sommaria. Così mi sono messo totalmente nelle sue mani.
Non posso dire che sia stato il mio viaggio più intenso. E non posso sostenere che il Marocco sia il Paese più avvincente ed emozionante in cui mi sia imbattuto finora, se penso alla sublime bellezza di certi parchi americani, all’adrenalina di un safari in Tanzania, all’incredibile varietà di un Paese come il Sudafrica… Ma di certo ha dato molto ai miei principali recettori sensoriali, la vista e l’olfatto. E mi ha fatto scoprire da vicino un popolo così lontano dalla mia cultura. Soprattutto è stata l’occasione per vivere un viaggio in maniera del tutto diversa dal solito: non di coppia, non con altre coppie, non di gruppo, ma con una sorella che, pur nella sua bulimia verbale e nei suoi eccessi di entusiasmo, ha saputo rispettare i miei silenzi e i miei tempi, così come io, peraltro, ho fatto con le sue lunghe chiacchierate e le sue esigenze. Di sicuro ho appreso di più su di lei in questi dodici giorni che nei miei precedenti 50 anni di vita. E credo Emanuela a sua volta. Ci siamo confidati – bastava un dopocena davanti a un caminetto o una passeggiata tra le dune – come mai avevamo avuto modo. E nelle tante diversità di ciascuno, abbiamo trovato anche molti punti in comune. Se avete un fratello o una sorella, e non avete mai condiviso un’esperienza simile, vivetela al più presto: vi completerà, rimandarla ve la potrebbe far rimpiangere.
Poi c’è stato anche lo spazio per me, per riflettere sulla mia vita. Se vogliamo, per fare un punto sulla mia esistenza, guarda caso subito dopo aver tagliato il traguardo del mezzo secolo, per liberare i pensieri su tante cose. E alla fine convenire che, sinora, ho vissuto intensamente e voglio continuare a farlo, dando ancor più importanza alle mie passioni, ai miei sentimenti, alle persone a me più care. A cominciare da mia moglie Silvia, la grande assente di questo viaggio, ma nei miei pensieri sempre presente, ogni giorno, come se fosse stata costantemente al mio fianco.
L’idea del taccuino di viaggio è nata invece durante il volo verso Marrakech, pronto per affrontare i dodici giorni di quello che s’è poi rivelato un tour bellissimo, in un Paese dai mille colori e dai tanti contrasti, nel quale ho toccato zone selvagge e ostili come raramente m’era successo di vedere. Forse solo in Namibia. Un diario giornaliero era quello che ci voleva per raccontare posti, strade, mercati, persone, odori, cibi, emozioni, suggestioni e tanto altro ancora, approfittando delle ore serali, dopo cena e prima di prendere la strada del letto, oppure delle albe insonni, aspettando il sorgere del sole, che in Africa ha sempre un fascino speciale. Ma anche di qualche momento morto durante certe lunghe tratte di trasferimento. Ho scelto una modalità di scrittura “live”, come per far vivere in diretta ciò che ho visto e ciò che ho provato, forse la forma migliore per raccontare un viaggio così particolare e trasferirlo immediatamente nell’animo di chi avrà la bontà di volerlo conoscere. Buona lettura. E…bon voyage”.
Paolo Marabini
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