Paolo Marabini racconta il suo primo viaggio in Marocco.
“Ore 11.45. Il volo Ryanair decolla dall’aeroporto di Orio al Serio in perfetto orario e quasi non mi accorgo che le ruote del Boeing 737-800 si staccano dal suolo di casa, per catapultarmi, di lì a poco più di tre ore, a Marrakech, in Marocco. La mente è altrove. Ai miei 50 anni appena compiuti, alle tante belle parole di amici e parenti, che mi hanno riempito di gioia. Volevo un compleanno un po’ speciale, non banale. E penso di esserci riuscito. Anche questo viaggio in Africa fa parte del “pacchetto”. Una sorta di autoregalo per il mio primo mezzo secolo di vita: quasi due settimane in un Paese mai visto, da vivere intensamente, in una nuova dimensione.
Il volo fila via liscio in men che non si dica. E subito, appena scendo dalla scaletta, l’odore tipico dell’Africa mi avvolge come ogni volta che arrivo da queste parti, che sia Egitto o Namibia. Sono un uomo olfattivo, è risaputo. E non mi stupisce che mi è sufficiente metter fuori il muso dall’aereo per sentirmi nel Continente Nero. L’Africa ha un odore tutto suo. O meglio, un insieme di odori. Che a volte diventano un tutt’uno, ma altre li senti distintamente tutti. L’aeroporto è poca cosa, anche se è in espansione: i voli low-cost verso Marrakech si sono moltiplicati e la struttura attuale è insufficiente per accogliere le nuove ondate di turisti che sempre più numerosi scelgono di visitare l’unico Paese tutto sommato tranquillo – speriamo ancora per un bel po’ – di quest’area geografica. Mi stupisce la pulizia. E, anche se i ritmi sono lenti – del resto siamo in Africa, e l’Africa questa è – il personale è attento, pronto, gentile.
Le pratiche per l’ingresso filano via relativamente veloci. Ma ho commesso un errore: sulla carta di immigrazione, alla voce professione, ho scritto “journalist”. E questo mi costa un supplemento di domande, perché qui pare che la categoria non sia vista di buon occhio. Devo spiegare che sono un giornalista sportivo e che sono qui in vacanza, ma negli occhi del gendarme leggo comunque un po’ di diffidenza. Mi servirà da lezione: la prossima volta scriverò “operaio”. Che poi non è nemmeno una bugia: io sono un operaio dell’informazione.
All’uscita ci aspetta Moustapha, il nostro chauffeur, che ci accompagnerà per tutto il viaggio. Mi ispira subito simpatia e fiducia, Emanuela lo conosce da anni e so già che dormiremo sonni tranquilli. Sono quasi le 3 di pomeriggio, ora locale, e ci aspetta una bella tirata per arrivare a Essaouira, prima meta del viaggio. La strada non ha molto da offrire dal punto di vista paesaggistico, ma è l’occasione per una prima presa di contatto “oftalmica” con il Paese. E basta uscire dalla zona dell’aeroporto per immergersi nel vero Marocco. Non sono sorpreso: anche qui, come in tutta l’Africa, la strada principale, disseminata ai bordi di rifiuti, di relitti di automobili e case diroccate, attraversa gli insediamenti urbani, da piccoli villaggi a cittadine più grandi. Nonostante sia ormai abituato a questo continente, continuo a stupirmi: che le strade e le città siano trattate come pattumiere a cielo aperto resterà per me sempre un mistero.
Arriviamo a Essaouira al tramonto e ci fiondiamo subito in albergo.
Emanuela ha scelto un piccolo b&b all’interno della medina, protetta da una solida cinta muraria che è ancora in perfette condizioni. Un carretto trasporta i nostri bagagli tra gli stretti vicoli della città vecchia e noi dietro, attenti a fare lo slalom tra gatti che sbucano a decine da ogni anfratto, pozze d’acqua lercia, bambini saltellanti. Piccolissimi negozietti e angusti laboratori artigianali si affacciano sul vicolo che porta al nostro b&b. Non so che cosa aspettarmi, ma nonostante il contesto non mi pongo troppe domande: di Emanuela mi fido ciecamente, so che finiremo in un bel posto.
E infatti, appena varchiamo la soglia de Les Sirenes, ho l’ennesima conferma che la sorellina ci sa proprio fare. Circondato da case fatiscenti – ma qui funziona così – è un gioiellino. Più che un b&b è un “riad”, anzi, un “dar”: la differenza la fa il giardino che, nel “dar”, non c’è. Le Sirenes è stato ristrutturato e arredato con gusto dal titolare, Edoardo, un architetto originario di Treviso che ci accoglie con modi affabili e cordiali e ci fa sentire subito a nostro agio. Cinque camere, ognuna diversa dall’altra, semplici ma essenziali, con tendaggi colorati, camino e un letto confortevole, in un’atmosfera distensiva. Giusto il tempo di una rapida doccia e si parte per andare a cena da Javier, un amico di Emanuela, proprietario del Riad Zahra con due ristoranti a due passi dal lungomare. Javier ci accoglie con grande calore nel suo bellissimo locale, un miscuglio di tante culture, dove oggetti di artigianato locale si mischiano con sculture provenienti da altri Paesi. E anche il menù è un mélange tra cucina marocchina e piatti di altre tradizioni. Uno dei due cuochi è un marocchino che ha lavorato in Vietnam, l’altro – che però in questo periodo è in ferie – ha alle spalle una lunga esperienza in Spagna e dicono che faccia una paella di pesce semplicemente favolosa. Peccato…
Comunque ci si tuffa ugualmente sul pesce: avremo tutto il tempo per mangiare pollo e agnello nel prosieguo del viaggio, lontani dal mare. Io opto per un’insalata di polipo e uno spiedino di rana pescatrice con verdure cotte. Tutto squisito. Come la chiacchierata con Javier, personaggio davvero affabile, gentile, delicato, affascinante. Originario di Barcellona, per 20 anni ha lavorato come gioielliere ad Andorra, poi si è stufato di fare il commerciante e, dieci anni fa, ha mollato tutto, ha venduto sino all’ultimo grammo d’oro e s’è trasferito armi e bagagli a Essaouira con la famiglia. Parla sei lingue, italiano compreso, che ha appreso comprando oro tra Valenza e Arezzo. Ed è un amabile conversatore, che sa parlare e ascoltare. Si siede a tavola con noi. E davanti a una zuppa e a un piatto di pesce, si racconta, riallacciando con Emanuela vecchi ricordi. Ci spiega come è cambiato il Marocco negli ultimi anni, ci parla del nuovo turismo, della famiglia. Ascoltarlo è davvero un piacere e il tempo vola. Finita la cena, raggiungiamo l’alloggio a piedi, regalandoci una gradevole passeggiata sul lungomare, accompagnati da una temperatura mite, ancorché accompagnata dall’umidità tipica delle città di mare. E’ quello che ci vuole per arrivare in albergo cotti al punto giusto. Così giusto da addormentarmi appena appoggio la guancia sul cuscino”.
Paolo Marabini
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